Definizione:
- Cistectomia semplice: asportazione della vescica.
- Cistectomia totale: asportazione di vescica, prostata, vescicole seminali nell’uomo; asportazione di vescica, utero e parte anteriore della vagina nella donna.
- Cistectomia radicale: come la totale, più l’asportazione dei linfonodi regionali.
- Gli ureteri, una volta distaccati dalla vescica, devono essere collegati o ad un’ansa intestinale, che funge da tramite con l’esterno (neovescica continente, neovescica cateterizzabile, condotto intestinale) o direttamente alla cute.
Indicazioni:
Neoplasie della vescica
Piccole vesciche contratte
Cistite da radiazioni
Cistite interstiziale
Tubercolosi vescicale
Sanguinamento irrefrenabile di origine vescicale
Fistole vescicali complesse
L’intervento viene eseguito in regime di ricovero ordinario e prevede una degenza che varia tra i 8 ed i 15 giorni ed ha lo scopo di asportare la vescica e contemporaneamente costruire una derivazione urinaria. Quando possibile la derivazione urinaria potrà essere una neovescica ortotopica continente cioè una vescica nuova costruita con l’intestino, posizionata nella stessa sede pelvica della vescica, che permetta la minzione attraverso l’uretra e che sia continente. In alternativa alla neovescica si può confezionare una derivazione urinaria isolando un tratto di intestino e collegandovi da una parte gli ureteri (condotti che trasportano l’urina dai reni) mentre l’altra estremità del tratto intestinale viene suturata alla cute dell’addome, generalmente al di sotto e a destra dell’ombelico. Tramite questo condotto intestinale l’urina defluisce continuamente all’esterno e deve essere raccolta in una busta a tenuta stagna.
Preparazione:
il paziente deve essere depilato nelle zone sedi di incisione. È necessario che l’intestino venga quanto più possibile pulito dai residui fecali attraverso purghe ripetute e talvolta medicate da iniziarsi due giorni prima dell’intervento. Utile anche una profilassi orale con antibiotici non assorbibili dal tratto gastroenterico per sterilizzare quanto possibile l’intestino. Durante l’intervento è necessario posizionare un sondino che attraverso il naso giunga nello stomaco per drenare i succhi gastrici. Rimarrà in sede fino a che l’intestino non avrà ricominciato a funzionare.
Descrizione della tecnica:
ASPORTAZIONE DELLA VESCICA
Se eseguito per una malattia tumorale l’intervento prevede solitamente un tempo preliminare di asportazione delle ghiandole linfatiche che drenano la linfa proveniente dalla vescica (linfadenectomia loco-regionale iliaca ed otturatoria).
In sintesi, dopo aver inciso la parete addominale si tratta di accedere al peritoneo (sacco che avvolge i visceri addominali), aprirlo e scollare la vescica dalla membrana peritoneale; si sezionano i dotti deferenti (canalicoli che trasportano lo sperma) e si isolano gli ureteri che vengono distaccati dalla vescica nel punto in cui essi vi penetrano.
La vescica viene poi scollata dalla parete rettale retrostante fino a che, completata la mobilizzazione vescicale, si seziona l’uretra e si conclude l’asportazione (exeresi). Nel caso di un soggetto maschio il tempo operatorio comporta l’escissione in unico blocco di vescica, prostata e vescicole seminali. Ciò comporta anche l’asportazione dei nervi erigentes, che decorrono in stretto contatto con la prostata e l’uretra, determinando la perdita della capacità di avere un’erezione spontanea. Nel caso di un soggetto femminile può essere necessario asportare, oltre alla vescica, l’utero e gli annessi e la parte anteriore della vagina.
Se necessario l’intervento termina con l’asportazione dell’uretra che può richiedere nell’uomo una incisione addizionale nel perineo (tra lo scroto e l’ano).
Come detto, in casi selezionati ed in genere per patologie non tumorali, l’asportazione può essere limitata alla sola vescica senza che vengano rimossi la prostata, le vescicole seminali e l’uretra nell’uomo (cistectomia sovrampollare) o utero e annessi nella donna. In questi casi l’attività sessuale viene generalmente preservata.
DERIVAZIONE URINARIA
Una volta eseguita l’asportazione totale della vescica (cistectomia) verrà individuato ed isolato il tratto gastro-intestinale più adatto alla derivazione urinaria.
Nel caso si decida di confezionare una neovescica, qualunque sia il tratto di intestino isolato (ileo o colon) questo verrà modificato, al fine di ottenere un serbatoio sferico, a bassa pressione (che cioè non si tenda prima che almeno 200-300 cc di urine si siano depositati al suo interno) e quanto più possibile privo di peristalsi (ovvero quel movimento continuo che permette al materiale intestinale di progredire verso l’ano), pena la comparsa di incontinenza. Esistono numerosi tipi di ricostruzioni delle vesciche.
Se possibile la “nuova vescica” verrà ricollegata tramite una sutura all’uretra e quindi la continenza sarà demandata ai normali meccanismi sfinteriali; nel caso l’uretra non possa essere utilizzata si effettuerà un particolare tipo di collegamento della neo-vescica alla cute che dovrebbe assicurare una buona continenza; in questo caso l’evacuazione delle urine dovrà avvenire necessariamente ad intervalli regolari tramite un catetere che dalla cute andrà a pescare nella neovescica (autocateterismo). Nel caso di derivazione non continente (Condotto Ileale), l’eliminazione delle urine, che vengono raccolte in una busta, avverrà per fuoriuscita continua.
Gli ureteri possono essere ricollegati (reimpiantati) alla nuova vescica con tecniche più o meno complesse; in genere si tende a creare un meccanismo antireflusso tra l’uretere e la neovescica al fine di evitare danni da infezioni renali ma non è in realtà dimostrato che si ottengano realmente questi effetti; è d’altra parte dimostrato che più le tecniche sono complesse maggiore è il rischio di complicanze in tale sede. Generalmente si pone un tubicino (tutore) ureterale per 10-12 giorni allo scopo di facilitare la guarigione della sutura tra uretere ed intestino.
L’intervento termina con il posizionamento di uno o più drenaggi (tubi di aspirazione) e la ricostruzione dei piani incisi.
Durata dell’intervento:
a seconda della complessità della derivazione, i tempi possono essere variabili da due ore ad un tempo superiore alle quattro ore.
Complicanze: la frequenza di complicanze nei pazienti che vengono sottoposti a cistectomia radicale è di circa il 25%; si distinguono in intra-operatorie o post-operatorie. La frequenza di reintervento dopo cistectomia varia tra il 10% ed il 20%. La mortalità si aggira intorno all’1%.
Le complicanze intra-operatorie sono rappresentate da:
- sanguinamento che può essere abbondante specie se la patologia coinvolge i grossi vasi sanguigni e può richiedere trasfusioni di sangue;
- lesioni accidentali del nervo otturatorio durante la linfadenectomia;
- lesioni accidentali dell’intestino in corso di scollamento vescicale o di preparazione del tratto intestinale che verrà utilizzato successivamente.
Le complicanze post-operatorie possono essere immediate (entro 30 giorni) e tardive (dopo i 30 giorni).
Tra le immediate collegate direttamente alla creazione della derivazione si ricordano:
- deiscenza anastomotica (cedimento) della sutura tra neovescica e uretere o delle pareti dell’intestino rimodellato con fuoriuscita di liquido urinoso. Comporta dolore addominale e prolungamento del blocco intestinale (ileo paralitico); se prosegue nel tempo (un limite temporale non assoluto è quello di 30 giorni) può richiedere un reintervento ma normalmente guarisce da solo (trattamento conservativo o di attesa) grazie al tubo di drenaggio che porta tale stravaso di urine all’esterno;
- infezioni;
- difficoltà al cateterismo intermittente della neovescica (quando questa non sia ricollegata direttamente all’uretra) che normalmente viene risolta lasciando un catetere a dimora per 2 o 3 settimane; raramente richiede un reintervento;
- ostruzione ureterale (di solito si lasciano dei tutori di modellaggio a proteggere la sutura tra neovescica e uretere proprio per evitare questa complicanza). Se avviene dopo la loro rimozione o in loro assenza può richiedere un reintervento, il più delle volte endoscopico, almeno in prima istanza.
- reflusso ureterale: è una complicanza frequente che và seguita nel tempo e corretta solo se causa di danno renale.
Tra le immediate non collegate direttamente alla creazione della derivazione si ricordano:
- infezioni: se saccate (ascesso) possono richiedere un drenaggio chirurgico; normalmente vengono trattate conservativamente; specie in soggetti defedati possono anche mettere in pericolo di vita il paziente;
- deiscenza anastomotica (cedimento) della sutura enterica con fuoriuscita di liquido intestinale. Comporta dolore addominale e prolungamento del blocco intestinale (ileo paralitico). Richiede quasi sempre un reintervento per chiudere la breccia creatasi;ileo meccanico (blocco intestinale) da impossibilitato transito delle feci attraverso la ricostituita continuità intestinale (angolazione di un’ansa, briglia aderenziale, ernia interna, devascolarizzazione di un’ansa). Richiede un reintervento;
- complicanze della ferita: la ferita può essere sede di infezione superficiale o profonda, che può richiedere un intervento di “curettage” (pulizia chirurgica) di solito in anestesia locale, o di ernie post-intervento; sono complicanze comuni a qualsiasi intervento addominale;
- prolungata linforrea (perdita di liquido linfatico) attraverso il tubo di drenaggio: è una complicanza autolimitantesi e non richiede reintervento se non quando responsabile di un accumulo saccato di linfa (linfocele).
Tra le complicanze tardive correlate alla creazione della neovescica si ricordano:
- rottura della neovescica o sua fissurazione: può richiedere un intervento o di semplice drenaggio percutaneo o di riparazione della neovescica a cielo aperto;
- formazione di calcoli: possono formarsi sui punti metallici utilizzati nella costruzione di una neovescica o essere secondari ad infezioni, raccolte di muco o corpi estranei. Richiedono un reintervento che più spesso viene fatto per via endoscopica attraverso il tratto che la fa comunicare con l’esterno (uretra o condotto intestinale o appendice). Raramente può richiedere un reintervento chirurgico a cielo aperto;
- ostruzione ureterale: è probabilmente la più frequente complicanza e vede come causa principale la scarsa irrorazione di sangue (ischemia) del tratto terminale dell’uretere. È responsabile di insufficienza renale se interessa entrambi i reni contemporaneamente. Richiede spesso un iniziale drenaggio delle urine mediante un catetere sottile posizionato, il più delle volte, in anestesia locale attraverso la cute lombare. Una volta ottenuto il drenaggio urinario si potrà pianificare la procedura volta a risolvere l’ostruzione: essa potrà avvenire o mediante tecniche endoscopiche, retrograde o anterograde, o per via chirurgica a cielo aperto. La tecnica anterograda, che segue cioè il flusso urinario dall’alto verso il basso, prevede di ampliare la connessione creata tra cute e via escretrice del rene per far scendere dal rene, lungo l’uretere, uno strumento flessibile (ureteroscopio) che giunga fino alla sede dell’ostruzione ed attraverso il quale si possa poi ottenere un’incisione del restringimento. Si possono anche utilizzare cateteri particolari che possano dilatare e/o incidere su guida radiologica la sede del restringimento. La tecnica retrograda, che cioè si effettua in senso opposto al flusso urinario, dal basso verso l’alto, richiede il passaggio di strumenti endoscopici attraverso il tramite che drena le urine all’esterno per raggiungere e incidere o dilatare la sede ureterale del restringimento. Sempre più spesso tali tecniche si usano contemporaneamente. La via chirurgica tradizionale richiede un reintervento a cielo aperto con isolamento del/degli ureteri, sezione del tratto ristretto e nuova sutura con la neovescica;
- reflusso ureterale: è il passaggio di urine che provengono dalla neovescica verso i reni. Può richiedere un reintervento solo se responsabili di deterioramento della funzione renale;
- incontinenza urinaria: è un evento comune se avviene sporadicamente, specie di notte o a seguito di improvvisi aumenti della pressione addominale ed in tali casi non richiede trattamento se non una prescrizione di sussidi atti a contenerla. Se frequente o persistente può essere causata o da una insufficienza dei meccanismi sfinteriali o da una ridotta capacità della neovescica (tiene poche urine e quando si riempe le urine tracimano). Nel primo caso si può provare a risolverla o con ginnastica volta ad irrobustire la muscolatura pelvica, o iniettando nell’uretra una sostanza che gonfiandosi sotto la mucosa ne ostruisca il lume (diametro interno) o con un intervento a cielo aperto volto a restringere l’ampiezza del condotto. Nel secondo caso si tratta solo di pazientare: nell’arco di 6-12 mesi la neovescica diventerà più capiente.
- ipercontinenza: è un evento possibile soprattutto nelle derivazioni urinarie continenti nelle donne ed è caratterizzato dall’impossibilità di svuotare completamente la vescica. Solitamente viene trattato con auto-cateterismi puliti intermittenti;
- problemi della stomia: vanno dal restringimento della stomia cutanea (orifizio neoformato attraverso cui la neovescica viene abboccata alla cute) solitamente risolvibile con dilatazioni progressive e continuate, all’ernia parastomale. Quest’ultima và corretta chirurgicamente se particolarmente fastidiosa o voluminosa. Interessano nel complesso circa il 25% dei pazienti;
- deterioramento della funzione renale e anemia: è necessario monitorizzare vita natural durante la funzione renale. Anche in assenza delle complicanze citate si può avere una insidiosa e lenta progressione verso l’insufficienza renale, aggravata spesso dal riassorbimento di sostanze presenti nelle urine ad opera del tratto gastroenterico utilizzato per costruire la neovescica. Questi disturbi nel tempo tendono a ridursi e sono legati alla precedente funzione del tratto intestinale impiegato. Per controbattere questa modificazione di elettroliti nel sangue (acidosi ipercloremica) si è soliti somministrare bicarbonato. Anche l’emoglobina e gli indici dei globuli rossi vanno controllati tutta la vita perché l’utilizzazione di un tratto intestinale può ridurre l’assorbimento di vitamine come per es. la vitamina B12 responsabile di anemia. La vitamina B12 può essere somministrata per via iniettiva;
- flebotrombosi e/o embolie polmonari, complicanze cardio-polmonari, ulcere gastriche possono complicare qualsiasi tipo di intervento.
Degenza post-operatoria:
la degenza post-operatoria è sempre variabile, solo orientativamente possiamo dire che se il decorso è regolare la rimozione del drenaggio sito nello scavo pelvico avviene in 4ª – 8ª giornata (in ogni caso è subordinato alla presenza di linforrea). La degenza media ospedaliera si aggira intorno ai 12-15 giorni. Nel primo periodo post-operatorio (primi 4-6 gg) può essere necessario utilizzare una via venosa centrale (succlavia) per alimentarsi; l’alimentazione per bocca riprenderà in 4ª – 5ª giornata una volta che l’intestino abbia ripreso a muoversi. Orientativamente possiamo dire che, se il decorso è regolare, il catetere che penetra nella neovescica deve rimanere in sede in media per 10-15 giorni.
Convalescenza:
la anastomosi intestinale richiede normalmente un certo tempo per assestarsi. La dimissione sarà programmata necessariamente solo dopo che il paziente ha ripreso la normale funzione intestinale. Genericamente si può dire che dopo un mese il paziente potrà riprendere le sue normali attività.
Come comportarsi in caso di complicanze insorte dopo la dimissione:
è necessario che per tutta la vita il paziente resti in contatto con un centro urologico e che ad esso faccia riferimento per ogni problema relativo e pertinente all’intervento stesso, come difficile svuotamento della neovescica (senso di tensione o di ripienezza addominale), febbre che non recede con terapia antibiotica tradizionale, astenia marcata, anemia, dolori addominali di incerta natura, alterazione dei parametri ematochimici di funzione renale, dolori lombari gravativi o di tipo colico ecc.